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La natura nel Parco di Monza
del Comitato Parco
Un mosaico di ambienti ed ecosistemi: così si presenta il nostro Parco. Boschi e prati, rogge e un fiume (il Lambro), aree a giardino: un insieme piuttosto articolato.
Il mosaico di ambienti non ha origini naturali, ma è il risultato – come spiegato in altre parti di questo opuscolo – di un grande lavoro di progettazione da parte dell’uomo, un lavoro che parte ancora prima che intervenissero gli architetti che han disegnato il complesso Parco e Villa Reale. Prima del Canonica (e del suo successore Tazzini), coltivi, prati e boschi (oltre alle acque) caratterizzavano questa parte della Brianza e del Monzese. Una citazione particolare va riservata al Bosco Bello, che copriva e in parte ancora copre la parte nord – e che venne sfigurato dall’autodromo –. Il Bosco Bello era già noto nel ‘400 come nobile foresta, cui era dato il nome di Selva dei Gavanti. Dobbiamo comunque tenere presenti questi aspetti, se vogliamo trattare valore naturalistico del Parco: non esattamente paesaggi ed ecosistemi naturali ma naturaliformi.


La funzione, l’importanza e il valore naturalistico ed ecologico dell’intero complesso sono in ogni caso innegabili. La provincia di Monza e Brianza è la più cementificata d’Italia, insieme a quella di Napoli. E in un territorio così densamente popolato e urbanizzato, un’area verde così vasta e sufficientemente compatta ha ricadute positive in tanti ambiti. Gli effetti positivi sulla popolazione e sulla sua salute sono innegabili e incontestabili. Ma vogliamo andare oltre.

Il Parco costituisce rifugio per tante specie animali e vegetali, che trovano qui habitat e risorse alimentari: una comunità di viventi ancora solo in parte ben conosciuta.

Il paesaggio del Parco è stato nel tempo modellato dal principale agente naturale tuttora attivo: il Fiume Lambro. Proviamo a partire dal fiume Lambro, e rechiamoci verso la Villa Reale. Incontreremo delle salite. Ogni salite corrisponde ad un terrazzo scavato dal fiume nel corso del tempo.

Più sopra si faceva cenno al mosaico di ambienti che compone il Parco: esaminiamoli.


I boschi

Coprono una fetta di superficie consistente, non solo: i settori forestali rappresentano l’ecosistema principe del nostro Parco. I botanici, i fitosociologi – questi ultimi studiano le associazioni vegetali, e le problematiche connesse – e i forestali hanno distinto alcune differenti tipologie.

Boschi a farnia e carpino bianco
Sono i boschi che più si avvicinano alla tipologia che caratterizza le aree di pianura. Farnia (fa parte del gruppo delle querce) e carpino bianco: sono le specie che formano l’impalcatura delle foreste planiziali (di pianura). Questa tipologia è purtroppo confinata, in Lombardia, in pochissime aree. Nel nostro Parco, il bosco planiziale è in realtà molto compromesso ed ha perduto i caratteri originari, soprattutto a causa delle tante manomissioni, succedutesi nei decenni.
Accanto a farnia e carpino bianco, troviamo in questi boschi gli aceri (varie specie), il frassino maggiore, il ciliegio selvatico. Purtroppo non mancano le specie esotiche invasive, quali la quercia rossa e il ciliegio tardivo.


Boschi a robinia dominante
In questi boschi la robinia la fa da padrona. Sono boschi non molto ricchi in biodiversità, anche se, va detto, presentano settori con alberi nostrani, carpino bianco in primo luogo. In questi boschi, spesso, il rovo domina gli strati bassi, con impoverimento complessivo della varietà biologica. Boschi di questo tipo si trovano nella parte nord del Parco, nella zona dell’autodromo.

Boschi a quercia rossa dominante
La quercia rossa è, per i boschi, un inquilino poco gradito. È specie esotica, di provenienza americana. Venne portata nel nostro paese, per sfruttarne la buona e rapida capacità di sviluppo. Purtroppo, dove questa essenza si sviluppa, il bosco risulta impoverito.
Nella parte nord del Parco, zona autodromo, esistono particelle forestali a quercia rossa dominante. Sono il risultato di piantumazioni del passato, effettuate con l’obiettivo di risolvere i problemi che affliggevano (e affliggono tuttora) le querce nostrane. Ai tempi, non ci si preoccupò di eventuali conseguenze: immettere una specie esotica in un luogo può avere effetti devastanti.


Fasce boscate lungo le rive
Sono i settori che accompagnano, in parte, il corso del fiume. Il pioppo nero è l’essenza più tipica, essendo pianta che ama i settori umidi. Accanto al pioppo, appare il platano: non è un caso, questo albero è stato tradizionalmente utilizzato per abbellire le rive nel paesaggio della nostra Brianza. Va ricordato, però, che è specie di provenienza esotica. Qua e là, rinveniamo anche salice bianco, pioppo bianco e ontano nero.

Boschi con sottobosco alterato
Presentano composizione eterogenea. L’alterazione può essere legata a fattori molto localizzati, come in alcuni piccoli settori molto frequentati dal pubblico. In altre aree, invece, abbiamo interventi su scala più ampia. È il caso del golf, i cui boschi sono sciaguratamente alterati: il sottobosco è stato cancellato, con evidenti ricadute negative sulla biodiversità.

Il Piano di Assestamento Forestale è un documento che contiene una serie di indicazioni per guidare gli interventi e per migliorare la qualità di un’area forestale. Il vecchio piano (Cereda, 1998) è scaduto qualche anno fa: questi documenti han durata di 13 anni. Recentemente, nel 2017, è uscita la nuova edizione: un passo importante per il futuro del Parco.


Prati e dintorni

Coprono una estensione non indifferente ma godono, in qualche modo, di minore considerazione rispetto ai boschi. Vengono vissuti dai frequentatori del Parco soprattutto come scenari per attività di tipo ricreativo. Intendiamoci: la funzione del Parco come luogo per il tempo libero è centrale e non va messa in discussione. Per i settori prativi deriva, però, un impatto non da poco: un problema da affrontare. Anche se il calpestio, va detto, tende a concentrarsi in poche aree.
I prati del Parco vengono sottoposti a regolare sfalcio, cui provvede, per la quasi totalità delle superfici, l’Azienda Agricola Colosio, che ha sede nella Cascina Molini di San Giorgio. Per i prati della Villa Reale e altre porzioni di minore estensione provvede direttamente il Consorzio. L’attività di sfalcio ha permesso che col tempo si formasse una comunità vegetale e, soprattutto, che si consolidasse il manto erboso. Lo sfalcio regolare permette, alle nostre latitudini, che si conservi il prato, altrimenti destinato a trasformarsi in bosco. Si arriva così alla formazione del cosiddetto prato stabile, ambiente prezioso e, alcune parti d’Italia, tutelato da specifiche categorie di aree protette. Il mancato intervento dell’uomo, va detto, può impoverire il prato: il risultato è la formazione di una comunità in cui dominano alcune specie a scapito della biodiversità. Un esempio importante di interazione uomo-ambiente, insomma.


Nella nostra Brianza, ci dicono gli esperti, possiamo trovare fino a 40-45 specie di piante erbacee nei prati stabili: non male. E nel Parco? Sempre gli esperti ci dicono che la comunità vegetale è un po’ più povera. Uno dei lavori da svolgere a breve sarà un aggiornamento dei dati relativi. Quali erbe abitano i prati del nostro Parco? Come sono distribuite? Esistono lavori svolti nel passato ma rimontano, ahinoi, agli anni ’90.

Anche se il calpestio tende a concentrarsi soprattutto in alcune porzioni, il disturbo per le specie animali e vegetali nelle aree prative è, comunque, complessivamente sostenuto. A titolo sperimentale potranno essere circoscritte piccole superfici di prato, vietandone l’accesso, e riducendo opportunamente o guidando gli sfalci. Il provvedimento avrebbe anche obiettivi scientifici: valutare l’evoluzione dell’ecosistema (variazioni nel numero e nel tipo di specie), e operare dei confronti con altri settori lasciati all’intervento e alla frequentazione dell’uomo. Allo stesso modo, dovrebbe essere steso un preciso protocollo che definisca una sorta di piano per la gestione dei prati, con attenzione, va da sé, per gli aspetto naturalistici.

Le zone di confine tra boschi e prati sono, nella stragrande maggioranza dei casi molto nette: mancano zone graduali di passaggio dall’uno all’altro ecosistema. Questi settori hanno importante ruolo ecologico: forniscono preziosi spazi per tante specie vegetali e animali (in particolare invertebrati, farfalle su tutti). Anche in questo caso, lasciare alla propria evoluzione naturale o guidare in maniera ragionata lo sviluppo di strisce di vegetazione a cavallo tra prati e boschi accrescerebbe la biodiversità. Per i frequentatori del Parco, la possibilità di osservare interessanti specie come le citate farfalle.

Un incremento della biodiversità potrà risultare dal ripristino di fasce a siepi, a suo tempo sciaguratamente quasi eliminate dal Parco. Questo tipo di ecosistema costituisce l’habitat per molte specie di uccelli, di rettili, e di mammiferi. L’area ex-Agraria poteva essere buona candidata all’insediamento di siepi. I questa parte del Parco erano presenti ampie fasce a siepi, purtroppo cancellate negli ultimi anni: un loro ripristino può avere significative ricadute.


Aree umide

Ambiente d’acqua principe è, va da sé, il vecchio Lambro. Il disegno originario del Parco inserì una rete di rogge molto estesa: aveva funzione paesaggistica ed irrigua. La gran parte delle rogge era alimentata direttamente dal Lambro. Oggi, del reticolo idrico originario sono riconoscibili circa 45 km di corsi d’acqua: un patrimonio di grande fascino. Delle rogge originarie, solo due sono sempre attive: la Roggia Molinara che bagna la cascina Molini di San Giorgio e la Roggia Molini Asciutti che attraversa l’omonima Cascina. Altri sistemi si attivano per qualche tempo in occasione di piogge molto intense e prolungate. Tra questi sistemi, va ricordata la Roggia Pelucca. Al contrario delle altre, la Pelucca era alimentata da fontanili. Col tempo, la falda sotterranea si è abbassata: il fenomeno, abbinato alla assenza di manutenzione, ha reso la Pelucca inattiva. Dalla metà degli anni ’90, la Roggia ha ripreso la sua attività in occasione di eventi meteorici consistenti. La storia di Monza, e non solo quella del Parco, è legata alla Pelucca. La Roggia attraversava il centro di Monza, in parte a giorno e in parte sotterranea, percorrendo anche Piazza Trento Trieste, per arrivare poi a Sesto, alla Villa Pelucca (da cui il nome). Il tracciato di questa roggia è ben conservato nel Parco e non manca di fascino. Come non manca di solleticare la nostra fantasia la Roggia del Principe. Occorreva portare acqua al Laghetto della Villa Reale. La soluzione: prelevare dal Lambro più a monte; nel Parco, il fiume si trova a quote più basse, e sarebbe stato necessario pompare dal fiume. Il punto di presa era a Sovico, in località Molino Bassi. Il tracciato della Principe è in gran parte riconoscibile ancora oggi, ma ormai da tempo inattivo.

Rimettere in attività le rogge sarebbe idea fantastica ma improponibile: i volumi d’acqua da coinvolgere non sarebbero trascurabili ma, soprattutto, occorrerebbe poi un lavoro di manutenzione non secondario. Va aggiunto che le condizioni del Lambro – ancorché migliorate molto negli anni – non sono più quelle dell’800. Qualche proposta interessante riguarda la zona a nord di Cascina Molini Asciutti. Lì, si potrebbe ricavare, magari con alimentazione mista (falda sotterranea + Lambro), un’area umida che interesserebbe il solco di una vecchia derivazione e i prati. Sogni al momento, da tenere nel cassetto. Allo stesso modo, un sistema misto (falda + Lambro) potrebbe ridare vita alla Pelucca.

Lasciamo questi progetti nella scatola dei desideri. Non dimentichiamoci invece di uno degli ecosistemi di maggior valore del Parco. Dal Laghetto della Villa Reale – cui ogni monzese è particolarmente affezionato, tra memorie degli anni verdi e piacevoli momenti di tutti i giorni –, parte un corso d’acqua: la Roggia della Villa Reale. Questa roggia può essere considerata l’ecosistema umido di maggior valore dell’intero Parco. La abita una comunità vegetale ed animale piuttosto ricca: le acque provengono direttamente dalla falda sotterranea. Anche in questo caso di impone un lavoro di censimento su fauna e flora, per aggiornare dati ormai risalenti a troppo tempo fa. E un appunto: i gestori del Parco hanno eseguito per due inverni di fila lavori di dragaggio del fondo. Errore: la rimozione troppo frequente della fanghiglia di fondo può compromettere la ricchezza biologica di questo ecosistema. Buona pratica sarebbe intervenire ogni 10 anni. Col tempo, infatti, la presenza di detriti vegetali e non solo impoverisce in ossigeno l’ambiente. Per i frequentatori del Parco, l’invito a buttare un occhio su questa Roggia e a cercare libellule e altri abitanti.

E gettiamo uno sguardo anche sul Laghetto. Noteremo un tratto distintivo e peculiare: da qualsiasi punto di guardi lo specchio d’acqua, è impossibile vederlo nella sua interezza. Mica casuale: il progettista voleva in questo modo creare una illusione; il Laghetto sembra in questo modo molto più grande di quanto non sia in realtà, quasi si estendesse all’infinito.


Giardini

I Giardini della Villa Reale: non a caso, vengono definiti in questo modo. Il plurale ha significato ben preciso ed intuibile: una composizione di elementi, ognuno con un carattere ben definito. Il giardino anglo-cinese: circonda il Laghetto ed è una mirabile fusione tra mondo minerale (i massi e blocchi rocciosi) e vegetale (carpini e tassi). La collinetta alberata a conifere: rimanda a paesaggi di montagna. Il Pratone: si snoda su una prospettiva – una delle prospettive volute dal Canonica – che si prolunga oltre il Ponte delle Catene. Altre zone a prato sono distribuite, secondo preciso disegno. A ridosso della Torretta, alcune curiose conifere di origine esotica. Dalla parte opposta, un bosco a netta prevalenza di carpini: per il visitatore, l’occasione per apprezzare ombre e giochi di luce. Distribuiti nei Giardini, troviamo alberi esotici di varia provenienza. Il frequentatore medio del Parco non coglie appieno, purtroppo, queste ricchezze: siamo di fronte ad un vero e proprio orto botanico. Una sua piena valorizzazione dovrebbe essere nell’agenda del Consorzio. Allo stesso modo, andrà messo in calendario un lavoro di sistemazione e riqualificazione dei giochi d’acqua e di altri manufatti dei Giardini. Negli ultimi anni (tra il 2015 e il 2016), sono stati avviati alcuni interventi sui citati giochi d’acqua, prologo per un definitivo recupero.

Un passo importante dovrà prevedere un aggiornamento del censimento del patrimonio arboreo dei Giardini, e, va da sé, una ricognizione sullo stato di salute delle piante.
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