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Storia del complesso monumentale "VILLA REALE E PARCO DI MONZA"
Significato e valore storico e artistico del Parco

Sono qui richiamate le tappe più significative che hanno segnato la vita del complesso Parco, Villa e Giardini Reali:

1777 - Costruzione della Villa e progetto del Parco in stile francese con estensione a nord in stile inglese. Lavorano gli architetti Giuseppe Piermarini, Ludwig Engel, Friedrich Schiller per l' Arciduca Ferdinando d' Austria.

"Il Palazzo, iniziato nel 1779 su progetto del Piermarini come monumentale residenza di campagna per l' Arciduca Ferdinando d' Austria, era ispirato agli ideali di grandezza e magnificenza delle più importanti residenze principesche europee del Settecento. La grande Villa si apriva dapprima su un giardino alla francese, di dimensioni limitate, impostato su un asse di simmetria che lo collegava ad essa e ne organizzava il disegno in modo geometrico regolare; il giardino fu ampliato in seguito verso Est, fino al corso del Lambro, fornito di acqua con vasche e fontane, dilatato verso il paesaggio circostante con ampie prospettive e arricchito di un piccolo parco all' inglese che imitava, come voleva la moda del tempo, la bellezza e la spontaneità del paesaggio naturale". (Prof arch. Annalisa Calcagno, Direttore della Scuola di Specializzazione in Architettura del Paesaggio, Facoltà di Architettura, Università di Genova, 1991).


1805 - Decreto Napoleonico di costituzione del Parco Maggiore come luogo di delizia, di tenuta agricola e di tenuta di caccia. In quattro fasi vengono annessi centinaia di ettari di terreno nei comuni di Monza, Biassono, San Fiorano, Vedano e terreni privati con le ville Mirabello e Mirabellino. L' architetto Luigi Canonica progetta la sistemazione complessiva tra il 1805 e il 1808.

1808 - Esecuzione del muro di cinta: 14 chilometri di lunghezza per includere un' area di 732 ettari.

1814/1848 - Restaurazione austriaca e periodo felice per la vita del parco, ormai terminato. Si alternano alla sua direzione esperti ed appassionati botanici i quali ne arricchiscono il patrimonio vegetale. In questo periodo il parco viene anche aperto al pubblico.

"La strutturazione del vasto territorio, agricolo e boschivo, acquisito al palazzo, avvenne secondo il progetto paesaggistco del Canonica: con l'adattamento e la trasformazione delle cascine e delle ville esistenti all' interno del territorio del Parco, con la costruzione o il riordinamento di ampi viali rettilinei alberati, con il modellamento del terreno e l' adeguamento del sistema idrico alle nuove esigenze del Parco, con l' apertura di straordinarie prospettive sulle più suggestive vedute esterne e sulle emergenze interne, sul "bosco bello", sul corso del Lambro, sulle cascine, sui mulini, sulle aree a specializzazione agricola, sulle zone riservate alla caccia." (Prof. Arch. A. Maniglio Calcagno).


1848/1920 - Periodo infelice, non per i danni diretti, ma perchà realizza le condizioni e le premesse della futura distruzione: dapprima il Parco diviene proprietà della Corona d' Italia e viene chiuso al pubblico. Dopo l' uccisione di Umberto I la famiglia reale abbandona il Parco che, dopo la prima guerra mondiale, e' tra i beni che vengono ceduti allo Stato e, da questo, all' Opera Nazionale Combattenti, la quale a sua volta cede l'intero compendio ad un consorzio formato dai comuni di Monza e di Milano e alla Società Umanitaria.

" Monumento "regale" ma abbandonato, monumento tra i più significativi del nostro patrimonio storico-artistico, ma da troppi anni oggetto soltanto di contesa e, fino a un recente passato, sfruttato per usi indecorosi, la Villa Reale di Monza, splendida residenza di campagna della fine del Settecento, dal momento dell' assassinio di Umberto I viene chiusa, progressivamente spogliata e usata poi per decenni i modo improprio"(Arch. Lucia Gremmo, Soprintendente ai Beni Ambientali e Architettonici di Milano, 1994).

Con il 1922 inizia il periodo più oscuro per il Parco, per la Villa e per i Giardini Reali, con l'abbandono e l'invasione da parte delle maggiori strutture sportive e ricreative: 1922 autodromo; 1923 ippodromo; 1928 campo da golf; 1930 campi da tennis. A partire dal 1950 questa trasformazione e snaturazione del complesso Parco, Villa e Giardini Reali diventa dilagante: si realizza il campo da hockey, il polo club, il centro controllo RAI , bar, scuderie, campeggi, piscina, allevamento cani, ampliamento golf.

" A milanesi e brianzoli, lasciati soli a decidere, l' enorme spazio verde del Parco Reale di Monza sembrò sprecato e si dettero da fare per riempirlo di cose più "concrete" e "produttive", a partire dall' autodromo, collocato proprio nel centro, scelta fatale e devastante, un peccato contro la cultura e il buon gusto, prima ancora che un errore di pianificazione" (Ing. Marco Di Fidio, Servizi Parchi della Regione Lombardia, 1973).

Si succedettero disboscamenti di ampie e pregiate zone, le imponenti trasformazioni della sua struttura per la costruzione dell' autodromo e del campo da golf, l'inesorabile impoverimento del patrimonio architettonico, idrico, arboreo, agricolo, la perdita della visuale, l' incuria e la noncuranza per un monumento storico denso di memorie e di qualità paesaggistiche, scientifiche e ambientali" (Prof. Arch. A. Maniglio Calcagno).


Anche la Villa Reale subì in altro modo le conseguenze degli anni bui del regime fascista con l'insediamento del quartier generale dell'Ufficio di Polizia Investigativa (UPI) della repubblica di Salò in cinque locali del primo piano nobile, mentre i capi repubblichini occuparono come alloggi privati alcune stanze del secondo piano nobile. Il peggior spregio al monumento fu l'utilizzo di altri locali come celle in cui rinchiudere e torturare gli antifascisti. Gli storici riportano anche di due esecuzioni sommarie perpetrate nei Giardini Reali.


Valore paesaggistico dei Giardini Reali

Voluti da Maria Teresa d’Austria a completamento della Villa Reale, i Giardini Reali occupano una superficie di circa 40 ettari e circondano l’intero edificio da tutti i lati; sono divisi dal Parco retrostante – realizzato trent’anni dopo – da una recinzione che è stata mantenuta nel tempo per qualificare la specificità paesaggistica del luogo come oggetto di ancora maggiore tutela.
La peculiarità dei Giardini Reali è chiaramente indicata negli scritti di artisti, studiosi e rampolli dell’aristocrazia che scelsero di visitare la Villa di Monza e i suoi Giardini come meta ambita del Gran Tour, nell’itinerario alla scoperta delle meraviglie d’Italia, fra Settecento e Ottocento.
Nei primi decenni del Novecento il giornalista Mario Rivière così chiosava un articolo dell’agosto del 1933: «Il disegno complessivo, se rivela una mano maestra, acquista anche maggior rilievo nei particolari. È tutta una gamma di punti di vista che s’offrono al visitatore. Qui veramente [...] possiamo dire che natura e arte, più che gareggiare s’armonizzano. La ricchezza delle visuali, la studiata disposizione di verdi e di acque e di viali fanno dei Giardini della Villa Reale un esempio di come l’architettura di un palazzo possa essere posta in valore dall’impiego del verde, elemento decorativo d’infinite risorse» (p.15).


Carlo Sanquirico, Il castello in ruina, 1830, litografiaLa creazione dei regi giardini si accompagnò alla realizzazione della Villa Reale, terminati nel 1777; i lavori dei Giardini, iniziati nel 1778 su disegno dell’architetto folignate Giuseppe Piermarini, allievo del Vanvitelli, subirono una battuta d’arresto a seguito della morte dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria (29 novembre 1780) e l’opposizione del figlio che le succedette, Giuseppe II, a sostenere l’ingente spesa per la loro realizzazione; ostacolo definitivamente superato con l’avvento al trono del fratello Leopoldo II nel 1790.
La sistemazione piermarinana dei Giardini Reali si può dire in buona parte conclusa nel 1797, quando, con l’arrivo dell’amministrazione francese, l’incarico progettuale passò nelle mani dell’architetto Luigi Canonica.
Piermarini affiancò ai giardini formali o “alla francese” - orientati sull’asse nord-est, prospicienti la facciata pubblica della Villa, destinati a esaltare lo spirito assolutistico – un giardino all’inglese a testimonianza della sensibilità della corte austriaca per le nuove tendenze in ambito paesaggistico; tendenze orientate a esaltare, nella concezione del giardino, il ritorno a una naturalità solo apparentemente casuale e spontanea, ma in realtà finalizzata a coltivare le emozioni, i sentimenti e la sensazione di sublime, associate alla visione del giardino come rifugio e legame con la storia: «Si spiega così la presenza dei tempietti, rovine, grotte, statue. Il tempietto ionico in particolare, posto in posizione elevata, crea un collegamento tra l’arte, la storia e il giardino che lo accoglie. La Torretta [...], di spiccato gusto romantico, esalta l’atmosfera “fantastica” che si respira nel giardino all’inglese. La linea dei viali segue le irregolarità del terreno con linee curva e trova una sua continuità nel contorno del lago e nei salti d’acqua che vanno a creare un altro laghetto a un livello più basso. [...] I cannocchiali prospettici che partivano dalla Villa Reale [...] permettevano all’osservatore di godere di particolari prospettive dei Giardini; [...] quello principale, partendo dal retro della Villa, taglia i Giardini lungo l’asse est-ovest (unendo idealmente Milano a Vienna e ribadendo in tal modo l’asse del potere politico del periodo), prosegue all’interno del Parco e fornisce un ambiente differente e di maggior respiro rispetto a quello del giardino all’inglese» [Italia Nostra, Percorsi alla scoperta dei Giardini della Villa Reale, 2005].
Piermarini è riconosciuto come il primo in Italia ad aver introdotto le nuove tendenze europee del giardino informale paesaggistico nei Giardini della Villa Reale che si affermarono pienamente con il successore all’incarico, Canonica.
Ritornato in piena epoca austriaca, dal 1818 il complesso monumentale fu scelto come residenza dal Vicerè del Lombardo-Veneto, Giuseppe Ranieri, grande appassionato di scienze naturali, che incentivò la sperimentazione botanica scientifica per la coltivazione e la cura di molte specie rare, facendo dei Giardini Reali un vero e proprio orto botanico, dove tutto si svolgeva nei canoni della massima scientificità raggiunta a quei tempi [V. Donnaruma, Gli Imperial Regii Giardini della Villa Reale di Monza, 1983]. Sotto la direzione di Giuseppe Manetti, i Giardini Reali arrivarono ad avere serre capaci di 1700 generi botanici, 7800 specie e 1400 varietà per un totale di 9000 unità [Fonte d’archivio: Catalogus Plantarum existentium in Horti Regii Villae propre Modoetiam, redatto da Rossi nel 1825 [?]; M.Rosa, Parchi e giardini storici: conoscenza, tutela e valorizzazione, Leonardo, 1991], alternando piante autoctone ed esotiche a carattere monumentale – varie specie di querce e faggi fra cui i faggi penduli, ma anche il Baobab, la Sequoia sempervirens, l’albero della Gomma, il Cedro dell’Himalaya e il Gingo Biloba - a piante da fiori intensamente colorate e profumate– dalle camelie alle azalee, solo per citarne alcune - e a prati il cui verde lussureggiante era abbellito da una miriade di specie di fiori, fra cui il celeberrimo aglio ursino la cui fioritura ancor oggi crea uno spettacolo paesaggisticamente e naturalisticamente unico. I regi giardini erano anche sede rinomata di coltivazioni edibili, con una ricca produzione di verdure, agrumi, ananas e frutta di ogni genere, in continuità con la tradizione illuminista lombarda capace di «cogliere la bellezza utile dei fiori e delle piante» [G. Venturi, Storia delle motivazioni teoriche del primo giardino all’inglese in Italia, in AA.VV., La Villa Reale di Monza, Monza, 1984].
Alla cura di questo patrimonio paesaggistico ma anche agri-colturale, provvedeva una Scuola di Botanica, realizzata da Luigi Villoresi e potenziata dal suo successore Giuseppe Manetti, divenuta meta obbligata per la formazione dei “giardinieri-artisti”.
Malgrado la fama acquisita a livello internazionale, la scuola venne chiusa dopo l’annessione del Lombardo-Veneto allo Stato del Piemonte e il conseguente arrivo in Villa di Umberto I che ne fece un luogo di residenza privilegiata e non più di rappresentanza com’era stata fino ad allora. Da qui il maggior interesse del sovrano sabaudo per la cura degli interni della Villa e non per i regi giardini, sui quali si abbattè, come sull’intero complesso monumentale, l’abbandono conseguente al regicidio del 29 luglio 1900.
Da allora a oggi si sono alternati vari progetti di restauro anche recenti, che stentano a concretizzarsi per la cronica mancanza di fondi, ma anche per carenze gestionali e disformità di orientamenti progettuali, che hanno lasciato campo libero a una visione dei Giardini Reali come contenitore anche di eventi incompatibili con la loro tutela, in particolare con il rispetto e la difesa di un patrimonio botanico pluricentenario, dunque particolarmente fragile, immemori della loro valenza precipua come giardini storici a corredo di un complesso monumentale, «magnifica creazione di tre corti reali e imperiali ridotto – come preconizzava il sacerdote e storico Mario Rosa – a una immensa risibil fiera di porta Genova» [M. Rosa, I Villoresi a Monza, Rivista di Monza, agosto 1933, p.9] e ancora nel 1983, Vincenzo Donnaruma, anima del Gruppo botanico di Monza e Brianza, si chiedeva quando sarebbero finiti gli «anni di oscurantismo per questi mitici giardini” [Donnaruma, Gli Imperial Regii Giardini della Villa Reale di Monza, 1983, p.30].
Elemento essenziale dei Giardini Reali è la componente vegetale che ne attesta la storicità e il preminente valore culturale: «L’aspetto di un giardino storico è il risultato di un continuo equilibrio fra il movimento ciclico delle stagioni, il deperimento della componente vegetale e la volontà di arte e artificio che tende a renderne lo stato. Spesso è difficile distinguere l’azione operata dall’uomo da quella della natura. Per questa sua specificità il giardino storico, ma più in generale le architetture vegetali, devono essere considerate un patrimonio culturale di interesse per l’intera collettività. Alla base vi è sempre un progetto paesaggistico e architettonico unitario in cui si relazionano gli elementi costitutivi del giardino stesso (viali di accesso, elementi di arredo etc.) esprimendo valori culturali e storici» [Rete dei Giardini Storici ReGIS, Giardini storici e sistema del verde, s.d.].


In tale contesto spicca, come elemento paesaggistico determinante, il cerchio di faggi penduli che abbelliva i Giardini con la sua maestosità già in epoca sabauda e certamente negli anni ’30 ma il cui impianto si può supporre possa essere ancor più risalente [Il giro dei faggi è riportato e cartografato nel censimento del dr. Franco Agostoni – 1983-1984, nella Particella 21; per la precisione il giro dei faggi è nella parte “f3” della particella 21.   I faggi che costituiscono il grande anello sono i numeri: 4- 5- 6-7-8-9-10-11- 12- 13 – 14 che vennero rilevati non solo come posizione ma anche con i relativi diametri dei tronchi; i diametri vennero misurati all’altezza da terra di m. 1,50. I diametri variano: cm. 28, cm. 30, cm. 41, cm. 63, cm. 66, cm. 67, cm. 76, cm. 77, cm. 82, cm. 86 ( il n. 7); la variabilità dei diametri dimostra che nei decenni i soggetti deperenti venivano sostituiti. Il diametro maggiore di cm. 86 e gli 8 soggetti di diametro variabile tra cm. 63 e cm. 82 attestano che l’impianto dei soggetti presenti nel 1983 avvenne circa cent’anni prima].
Caratteristica del monumento arboreo in esame è la continuità del fogliame che arriva fino a terra e dà l’impressione di essere una sola pianta, un gigantesco cespuglio come lo definì il fotografo Valdemara che lo ritrasse nel 1933:


Cerchio di Faggi penduli, foto Valdemara, 1933
Caratteristica che è ben visibile nelle immagini che lo ritraggono negli anni ma che è stata spezzata con la scelta degli organizzatori di un recente evento del 2023 a carattere commerciale c.d. “Trame di Luce” di utilizzare proprio il cerchio di faggi come ingresso alla manifestazione.
La gravità del danno prodotto al monumento arboreo da questo e da altri usi non conformi all’intera area dei Giardini Reali, riconosciuta come bene di maggior tutela dal Codice dei Beni Culturalie Paesaggistici del 2004, costituisce un monito affinchè non si ripetano in essa manifestazioni analoghe.



Situazione Attuale e Competenze

Attualmente il Parco di Monza e' per il 55% affittato a privati e per il 45% ad uso pubblico.

Dal 1934 i Comuni di Monza e Milano sono i proprietari del Parco e dall' aprile del 1996 anche di metà della Villa Reale. Il Parco fa parte del Consorzio del Parco della Valle del Lambro.

Questa scelta e' stata salutata originariamente come un' occasione fondamentale perchà si pensava che si sarebbe approntato un piano territoriale per "identificare gli obiettivi per tutta l' area, nonchà i livelli di compatibilità con gli obiettivi delle destinazioni d' uso in atto e i tempi e le modalità di cessazione delle attività incompatibili" (Ing. M. Di Fidio).

Ma i forti interessi privati che insistono sul complesso Parco, Villa e Giardini Reali hanno contrastato la concretizzazione del Piano.
Attualmente il complesso è gestito dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, costituito il 20 luglio 2009 e presieduto dal Sindaco di Monza, di cui fanno parte gli enti proprietari – Comune di Monza, Comune di Milano, Regione Lombardia, Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo – la Camera di commercio di Monza e Brianza e, dal 2014 anche Confindustria Monza e Brianza. La gestione operativa e affidata a un Direttore. Malgrado sia espressamente previsto dalla Statuto del Consorzio (leggi lo Statuto del Consorzio), non esiste un Comitato scientifico che raccolga le specifiche competenze che richiede un bene culturale di tale rilievo, dimensione e complessità.
Infatti il Parco di Monza costituisce con la Villa Reale e i Giardini un complesso di inestimabile valore paesaggistico, storico, monumentale e architettonico. Un gioiello che sta sempre più assumendo un ruolo fondamentale dal punto di vista naturalistico ecologico in un' area a fortissima urbanizzazione, dove il verde pro-capite e' di soli 9 mq contro i 15 previsti dalla legge regionale. Per le centinaia di migliaia di abitanti che gravitano intorno ad esso rappresenta un polmone insostituibile, come dimostra il fatto che oltre un milione di persone lo frequenta annualmente, e per tante specie animali e vegetali costituisce l' unica oasi, un sicuro rifugio.

Tale valore è legato anche alla sua articolata struttura e alla varietà di ambienti. La ricchezza naturalistica rende questo luogo uno straordinario oggetto di ricerca per studiosi e cultori delle discipline naturalistiche.

Sono stati svolti e sono tuttora in corso numerosi studi sugli aspetti naturalistici del Parco, che hanno evidenziato la presenza di oltre 400 specie fungine, alcune delle quali di particolare importanza, circa 90 specie di uccelli, una decina di micromammiferi e alcune specie erbacee molto pregiate. Tra gli uccelli va segnalata la presenza di una specie di grande valore quale il picchio rosso minore. La popolazione di allocchi - su cui sta lavorando l'università di Pavia da alcuni anni - è, per densità, una delle principali d'Italia e d'Europa.


La campagna delle associazioni ambientaliste

L’affidamento a un organo essenzialmente politico e privo di competenze specifiche non ha permesso finora, malgrado le dichiarazioni di principio, di guardare al complesso monumentale con l’ampia visione culturale e prospettica che ne consentì la nascita grazie alla lungimiranza di Austriaci e Francesi. Lo dimostra la persistenza di utilizzi incompatibili e devastanti che riducono il Parco e la Villa a contenitore e non già a protagonista.
Vedi alcuni esempi.
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